Tra pochi giorni, il 27 settembre 2021, sarà l’anniversario dello scoppio del secondo conflitto del Karabakh, la cosiddetta guerra dei 44 giorni, conclusasi il 10 novembre 2020 con la vittoria dell’Azerbaigian e il ripristino della sovranità di Baku sulla regione e su sette altri distretti occupati dall’Armenia sin dall’inizio degli anni Novanta.
Quello tra Armenia e Azerbaigian è stato un conflitto speciale, anomalo nell’attuale scenario delle cosiddette guerre asimmetriche. E’ stato anzitutto uno scontro “tradizionale” tra due Stati, due Popoli, due eserciti. E anche tra due concezioni politiche e ideologiche: da un lato l’Armenia – la parte occupante – che ha impostato un discorso etno-nazionalistico il cui giustificativo profondo era una sorta di scontro di civiltà contro l’avversario “musulmano e turcofono”, dall’altro l’Azerbaigian che basava la sua posizione sul diritto internazionale, sul ripristino dell’integrità territoriale e sul diritto dei rifugiati interni (più di 1 milione) a tornare alle proprie case, senza escludere i cittadini di etnia armena da una futura convivenza. Senza che vi fosse alcun riferimento, nella comunicazione politica azerbaigiana, a identità religiose o etniche contrapposte.
Una concezione tribale e identitaria, quella della “cristiana” Armenia, contrapposta a una visione laica, moderna e civica dell’Azerbaigian, con la seconda che – per una volta – ha prevalso sul campo grazie a un dispositivo militare più forte, frutto dell’importante crescita economica del paese nell’ultimo decennio. Il resto è cronaca dell’ultimo anno: l’accordo tripartito e l’impiego di una forza di peacekeeping della Federazione russa, i contrasti ancora aperti sulle delimitazioni dei confini di stato delle due parti, la questione dello sminamento e della messa in sicurezza dei territori liberati.
E’ cominciata negli scorsi mesi la partita della ricostruzione dei territori devastati durante l’occupazione armena. E’ importante l’implementazione dei pre-requisiti dell’accordo trilaterale, per rendere prevedibile lo sviluppo della situazione nella regione nei prossimi quattro anni. Da parte sua l’Azerbaigian sta anche accelerando sulla ricostruzione materiale, economica e sociale dei territori liberati. Baku vuole dimostrare al mondo che la propria sovranità non è solo legittima di per sé, ma porta progresso e modernizzazione per un’area rimasta isolata dal mondo per quasi 30 anni, impoverita e svuotata delle sue forze vitali a causa dell’occupazione armena. L’Azerbaigian vuole proiettare l’immagine di una ricostruzione “forte”, puntando sulla connettività e l’interdipendenza dell’intera regione caucasica.
La città di Shusha, fondata nel XVIII secolo come capitale del Khanato del Karabakh, che ha anche un immenso valore morale per gli azerbaigiani, è al centro di questi sforzi ricostruttivi. Sorta attorno a una fortezza, la cittadina di montagna conserva il suo fascino da “medioevo musulmano” con le moschee, gli hammam, i caravanserragli, i palazzi di art nouveau e rappresenta il luogo di origine di numerose personalità di spicco della cultura azerbaigiana. Era il centro di massimo insediamento della popolazione azerbaigiana fino alla guerra degli anni Novanta, che la rese una città fantasma. Durante i 28 anni di occupazione armena Shusha ha subito una sistematica distruzione. Ma i lavori di restauro e ricostruzione, sia completati che in corso, così come gli eventi culturali promossi nei 9 mesi dopo la liberazione, mostrano la volontà di farne un centro simbolico dell’Azerbaigian, e la stessa città è stata dichiarata dal Presidente Ilham Aliyev capitale culturale del paese.
L’attenzione data a Shusha è testimoniata anche dalla recente visita del capo dello Stato e della first Lady Mehriban Aliyeva. La visita ha visto una lunga serie di inaugurazioni di alberghi, centri culturali, monumenti, restauri, case-museo, centri multimediali, festival poetici e musicali, legati ai grandi personaggi azerbaigiani, che hanno vissuto nella città tra il XVIII e il XX secolo, come il poeta Vagif – importante esponente della letteratura azerbaigiana – o il compositore Uzeyir Hajibayli, autore della prima opera lirica composta nell’Oriente musulmano. Un attivismo culturale che riveste un notevole significato politico e simbolico: di ricostruzione – dopo un conflitto quasi trentennale – non soltanto materiale ma politica e culturale.