Fine della politica zero-covid in Cina: una valutazione delle critiche

DISCLAIMER: Le opinioni espresse in questo articolo riflettono unicamente la posizione personale dell'autore/autrice.

Quota della popolazione con almeno una dose di vaccino

La tanto criticata politica dello ‘zero-covid’ cinese aveva permesso di limitare a 30 mila circa il numero dei morti, a fronte del milione circa statunitensi (ma con una popolazione cinese quattro volte superiore).

Federico Rampini preferisce però fare il raffronto con Giappone, Corea del Sud o Taiwan, che avrebbero avuto un basso numero di decessi da Covid-19 pur senza le misure draconiane assunte invece dalla Cina. Non è difficile comprendere che se in Giappone si sono avuti 58 mila morti su 126 milioni di abitanti, in Corea del Sud 32 mila morti su 51 milioni e a Taiwan 15 mila morti su 23 milioni, rapportando questi dati alla popolazione cinese questo significa che in Cina si sarebbero comunque dovuti attendere, con una politica di apertura, non meno di 750-800 mila morti.

Le critiche continuano però anche ora che quella politica è stata abbandonata perché, argomentano per esempio Roberto Burioni, o Federico Rampini, la Cina avrebbe vaccinato “poco e male”. I dati disponibili su Our World in Data dicono, tuttavia, che in Cina sono state somministrate circa 244 dosi ogni 100 persone, in Italia 243 dosi ogni 100 persone e negli USA 200 dosi ogni 100 persone. Il grafico sottostante, inoltre, mostra che il 57% della popolazione cinese è stata vaccinata con una terza dose, mentre per gli USA quel dato è pari al 39%. I dati parlano da soli.

Ma la Cina avrebbe comunque vaccinato “male”, usando un vaccino a virus inattivato meno efficace del vaccino americano a mRNA. The Lancet smentisce questa affermazione, concludendo che l’avere assunto tre dosi di  CoronaVac o BNT162b2 fornisce una protezione di livello simile (e relativamente basso) contro infezioni lievi e severe, con una “efficacia relativa fra i due [statisticamente] non-significativa”. La stessa équipe aveva confrontato l’efficacia dei due vaccini prima dell’arrivo della variante omicron e anche in quel caso aveva concluso che non vi fosse differenza nella protezione offerta, questa volta però rilevando, per la popolazione più adulta, che “la terza dose dell’uno o dell’altro vaccino proteggeva da eventi severi o fatali con una probabilità del 98%”. Difficile concordare anche sul fatto che la Cina abbia vaccinato “male”.

In ogni caso il problema sarebbe soprattutto, continuano i critici, che al novembre 2022 solo il 40,4% della popolazione cinese sopra gli 80 anni aveva ricevuto un booster. Una prima spiegazione di questo fatto è che in Cina c’è stata una diffusa diffidenza nei confronti del vaccino, soprattutto fra le fasce più anziane della popolazione.

 

Quantità di booster per 100 persone

Va anche osservato che la Cina non ha imposto alcun obbligo vaccinale: per entrare nei luoghi pubblici era sufficiente esibire i risultati negativi di un test svolto nelle 48 ore precedenti, test che era possibile fare facilmente e senza costi in una qualunque delle tante postazioni disseminate nei punti focali delle città (per esempio di fronte ai centri commerciali). Questo smentisce un’ulteriore affermazione di Federico Rampini, secondo il quale nei tre anni di zero-covid policy, 1 miliardo e 400 milioni di cinesi sarebbero stati tenuti “agli arresti domiciliari”: quelle misure permettevano alla grande maggioranza dei cinesi di condurre una vita relativamente normale, per esempio anche continuare ad andare a frotte nelle piazze a ballare la sera come è loro costume fare. Si può senz’altro e comunque concludere che quelle misure fossero troppo dure e inaccettabili per una democrazia occidentale, ma nel farlo non si può ignorare la contropartita che permettevano di ottenere.

Comunque sia, lo stesso studio di The Lancet citato sopra, nel valutare l’efficacia delle terze dosi per la popolazione di età superiore ai 60 anni conclude che “il booster di BNT162b2 o di CoronaVac non ha fornito alcuna protezione significativa contro l’infezione da SARS-CoV-2 omicron”. Gli stessi autori aggiungono che tale conclusione è “compatibile con l’evidenza generale di una minore efficacia dei vaccini negli individui più anziani rilevata in letteratura” (p. 11).

Oltre al fatto che entrambi i vaccini somministrati ad anziani sono ben poco efficaci contro la variante omicron (rendendo così praticamente irrilevante il dato di una maggiore o minore copertura vaccinale della popolazione più anziana), va considerato poi che la variante omicron ora in circolazione in Cina è meno letale del 66%-69% rispetto alla variante delta (come conclude uno studio del  British Medical Journal): esporre oggi la popolazione alla variante omicron, avendola protetta in precedenza dalla delta, consentirebbe di risparmiare circa 500 mila vite umane, stando alla stima di 750 mila – 800 mila potenziali decessi fatta sopra. L’aver guadagnato tempo con le misure restrittive prese in precedenza, quindi, sarebbe state tutt’altro che inutile.

Si può dire tutto della Cina, a cominciare dalla mancanza di trasparenza sui dati forniti alla comunità internazionale dopo l’abbandono della zero-Covid policy, fino ad arrivare all’accusa principale, cioè quella di essere una dittatura (a tale proposito consiglio di leggere Economically Benevolent Dictatorships e What the West Gets Wrong About China). Ma questo non può giustificare qualunque cosa si dica su quel paese, non importa se corretta o meno, alimentando narrative distorte che fomentano diffidenza e perfino odio nei confronti di quella popolazione, riportandoci così ai tempi della guerra fredda vissuta dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso (la brutalità del titolo dell’articolo “Ci conviene che la Cina si schianti economicamente? La risposta è più complicata di quanto sembri”, pubblicato sul Corriere della Sera il 3 gennaio 2022 è solo uno dei tanti esempi).

Del ritorno di quel clima credo che nessuno dovrebbe sentire il bisogno.

 

* Pompeo Della Posta è Professore di Economia alla Belt and Road School della Beijing Normal University a Zhuhai (Guangdong, Cina). Ringrazio i proff. Pietro Manfredi, Mario Morroni e Roberto Tamborini per i commenti e i suggerimenti ad una precedente versione di questo lavoro. Ringrazio anche il prof. Roberto Burioni, al quale avevo posto alcune domande correlate al contenuto di questo articolo, domande a cui ha ritenuto di rispondere scrivendomi che “disprezza profondamente i collaborazionisti”. Quella risposta, infatti, mi ha motivato a redigere con ancora maggior cura questo articolo. Va da sé che resto io solo l’unico responsabile di quanto ho scritto.