Il Parlamento europeo deve spingere la Commissione a modificare la proposta di dilatare i tempi di risposta alle richieste di asilo per Polonia, Lituania e Lettonia, scrive Emilio De Capitani.
Emilio De Capitani è stato Segretario della Commissione LIBE del Parlamento europeo dal 1998 al 2011.
Molto giustamente l’eurodeputato Onorevole Majorino ha appena denunciato su queste pagine “il laboratorio di disumanità” che ha preso forma alla frontiera tra Polonia e Bielorussia dove alcune migliaia di migranti curdi, afgani ed iracheni sono intrappolati da settimane. Lo scandalo nasce non tanto dalla posizione del regime bielorusso quanto dalla posizione della Polonia che, in quanto Paese dell’Unione europea, dovrebbe rispettare e promuovere i diritti fondamentali sanciti dai Trattati europei e dalla Carta dei diritti fondamentali.
Ancora più sorprendente è poi il fatto che la Commissione europea ha appena proposto di attivare una procedura di emergenza fondata sull’art.78.3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che di fatto legittimerebbe la restrizione se non lo svuotamento del diritto di asilo. Basti pensare alla previsione di una “finzione legale di non accesso sul territorio” europeo anche quando questo accesso sia magari avvenuto a rischio della propria vita superando i fili spinati e i lacrimogeni usati dalle due parti. È questo uno stravolgimento della lettera e dello spirito di una norma del trattato che all’origine era stata pensata non per limitare, ma per estendere il diritto di asilo attraverso una protezione temporanea che gli Stati membri possono tuttora accordare quando le strutture ordinarie non siano in grado di gestire un afflusso massiccio di persone e le relative domande di asilo (vedi la Direttiva 2001/55 sulla “Protezione temporanea”). Nello stesso spirito nel 2015 di fronte alla crisi siriana il Consiglio aveva fatto ricorso all’art.78.3 per permettere la riallocazione in altri paesi UE di 160.000 migranti presenti sul territorio Italiano e Greco alleggerendo così la pressione sui due paesi in questione e favorendo l’integrazione dei migranti in questione (Decisione del Consiglio (EU) 2015/1523 del 14 Settembre 2015). La stessa Corte di Giustizia aveva riconosciuto la legittimità di quell’Intervento proprio perché adottato per far fronte a una situazione di emergenza che poteva giustificare la sospensione o la modifica purché su base temporanea di norme vigenti europee (come nel caso in questione le norme del Regolamento di Dublino sul paese responsabile dell’esame delle domande di asilo). (Vedi paragrafi 78-81 della Sentenza sui Casi congiunti C-643/15, C-647/15 CJEU)
Ora, è quanto meno scandaloso che il ricorso all’art.78.3 TFUE venga proposto dalla Commissione non tanto per agevolare un intervento che tuteli i migranti, (magari creando corridoi umanitari e procedure di evacuazione e di protezione temporanea) quanto per coprire il comportamento sotto diversi profili contrario al diritto europeo e internazionale delle autorità polacche, come giustamente denuncia l’Onorevole Majorino nella sua Intervista.
Che fare dunque per riportare un minimo di ordine e di umanità di fronte a questo problema?
Qui il ruolo del Parlamento europeo può, a mio parere, essere determinante. Si tratta innanzitutto di spingere la Commissione a modificare la propria proposta perché solo così il Consiglio può adottarla a maggioranza qualificata (mentre occorrerebbe l’unanimità se volesse discostarsene e questa unanimità è oggi impossibile perché i Polacchi hanno già dichiarato di non essere d’accordo neppure sul testo attuale…). Spingere la Commissione a ritornare sui suoi passi e magari anche a modificare il contenuto delle norme in senso favorevole ai migranti (come probabilmente vuole una maggioranza di europarlamentari) non dovrebbe essere difficile se Socialisti, Verdi, Sinistra e Liberali si mettono insieme. Oltretutto proprio in queste settimane la commissione parlamentare competente (LIBE) sta proprio discutendo delle norme da applicare in situazioni di crisi o forza maggiore (relatore l’Onorevole Lopez Aguilar). La soluzione più semplice sarebbe quindi di nominare lo stesso relatore per l’esame della proposta di decisione della Commissione e, una volta costruita la maggioranza avviare il confronto con la Commissione in occasione del dibattito in plenaria.
Ora, almeno in base ai Trattati, la Commissione si regge sulla fiducia di una maggioranza parlamentare e se questa maggioranza esiste non dovrebbe essere difficile farle cambiare idea e mettere magari sotto pressione i membri della Commissione che l’hanno preparata.
La Commissione non si lascia convincere ? Il Consiglio continua per la sua strada sulla base del testo attuale?
C’é sempre la Corte di giustizia davanti alla quale il Parlamento può entro sessanta giorni dall’adozione impugnare misure del Consiglio che ritenga in violazione dei diritti fondamentali (non sarebbe la prima volta e in questo caso ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta…).
Certo dover ricorrere alla Corte ogni volta che la Commissione o il Consiglio se ne vanno per conto proprio ignorando il Parlamento sarebbe la prova che le forze politiche europee non sono all’altezza della loro missione e questo dovrebbe spingerle a farsi delle domande non tanto sul futuro ma sul presente dell’Europa.