In un lungo saggio pubblicato sul Foglio Enrico Letta propone una riforma dei Trattati per creare sette unioni e costruire un’Europa federale.
Il Segretario del PD Enrico Letta ha esposto in maniera chiara e dettagliata la sua posizione europea, chiedendo esplicitamente di completare il processo di unificazione europea in senso federale. In particolare Letta ritiene ormai urgente realizzare sette unioni: l’unione della politica estera, della comune politica di asilo, dell’energia, della difesa, sociale, della saluta; e un’Unione allargata, creando una confederazione europea in cui far entrare subito chi vuole aderire, con al centro un nucleo federale più integrato. E spiega cosa ciascuna comporterebbe in termini di azioni comuni e di benefici per i cittadini europei.
Il saggio di Letta ha molti meriti. Individua il nodo istituzionale fondamentale da superare: i veti nazionali e la regola dell’unanimità, da eliminare in tutto il processo decisionale dell’Unione. Delinea un percorso da seguire, chiedendo di avviare una Convenzione per la riforma dei Trattati – la procedura prevista dal Trattato di Lisbona – al termine della Conferenza sul futuro dell’Europa, in modo da dar seguito alle richieste dei cittadini europei.
Letta propone un’Europa a cerchi concentrici con un’Unione federale nel quadro di una più ampia confederazione, in modo da perseguire insieme allargamento e approfondimento, invece di considerarli in alternativa. Anche se Letta non lo scrive, ciò è essenziale anche per permettere di procedere con l’approfondimento federale anche se qualche Paese membro non fosse attualmente disponibile, permettendogli però di rimanere membro del cerchio più ampio. Pone la questione del ruolo dell’Europa del mondo, della visione e dei valori di cui l’Unione deve essere portatrice e degli strumenti necessari per tutelarli, inclusa la riforma della governance economica.
Di fatto Letta riconosce che i grandi problemi possono essere affrontati solo a livello europeo, e quindi che la frattura politica fondamentale è tra nazionalisti ed europeisti, tra chi vuole una sovranità nazionale ottocentesca e chi cerca di costruire una sovranità europea, l’unica efficace nel XXI secolo. Così facendo apre una battaglia politica su tre fronti. Il primo riguarda l’azione del PD per portare tutta la famiglia progressista europea su questa linea. Il secondo la posizione del governo italiano e soprattutto l’iniziativa e l’azione su tutti questi dossier. Il terzo è una sfida che Letta lancia in modo diverso a tutte le forze politiche italiane, chiedendo di superare le ambiguità. A Forza Italia, che fa parte del Partito Popolare Europeo (PPE) e si proclama europeista, ma resta alleata di Salvini e Meloni. Alla Lega, che sostiene il governo Draghi fondato su europeismo e atlantismo, ma poi si distingue a ogni passaggio facendo riemergere la sua storica vicinanza a Putin, talmente nota e proclamata in passato, da non poter essere dimenticata neanche nei viaggi di Salvini all’estero. A Fratelli d’Italia, che si è subito schierata nel campo occidentali, ma continua a proporre una visione confederale – cioè ancora più debole dell’Unione attuale – dell’Europa, sostenendo una sovranità nazionale che implica in realtà una dipendenza strutturale da uno o l’altra delle grandi potenze mondiali. Al M5S, cui viene chiesta una chiara scelta di campo, una volta per tutte, sull’Europa. E di conseguenza a tutte le altre potenziali componenti di un “campo largo” di centro-sinistra, chiamate ad accettare l’alleanza con il M5S, se questo sceglierà con chiarezza una linea europeista.
È significativo che la pubblicazione avvenga all’indomani del primo turno delle presidenziali francesi, in cui la frattura tra nazionalismo ed europeismo si è dimostrata dominante. Tanto da spazzar via i partiti tradizionali. I gaullisti del Partito Repubblicano di Pécresse ed i socialisti guidati dalla Hidalgo non hanno avuto il coraggio di prendere una posizione fortemente europeista, per distinguersi da Macron, ma nemmeno nazionalista come Le Pen. Se la nuova frattura politica è questa, non avere una linea chiara e identificabile sul tema è deleterio, come ha mostrato il Partito Laburista, che con il suo assordante silenzio sulla Brexit ha regalato la vittoria a un Partito Conservatore che pure aveva mostrato di essere diviso e non in grado di governare in tutta la precedente legislatura. Letta e il PD hanno preso posizione e lanciato la sfida.