I Paesi dell’Europa occidentale si sono progressivamente disinteressati all’acquisizione del gas proveniente da quest’area per il consumo interno, visto anche l’attuale calo della domanda. Anche il progetto di gasdotto dall’area di produzione all’Italia sembra essere stato, almeno temporaneamente, sospeso. In questo contesto, sarebbe opportuno per le istituzioni e i principali Paesi europei definire nuove priorità strategiche nella regione, basate sull’assunto che il gas presente in quest’area sarà probabilmente consumato a livello locale nei prossimi anni.
In questo senso, esistono possibili sinergie che possono risultare vantaggiose per tutti gli Stati rivieraschi (Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Libano, e Turchia). L’Egitto punta a diventare l’hub regionale del gas, sfruttando la presenza di due impianti di gas naturale liquefatto sul suo territorio (Idku e Damietta). Questa strategia energetica potrebbe risultare vantaggiosa anche per Israele e Cipro, qualora si decidesse che una parte del gas prodotto nelle loro ZEE sia destinato all’esportazione nei mercati vicini, come quello libanese e greco, attraverso i rigassificatori egiziani. Una grande opportunità è anche quella di vendere il gas nel mercato turco, in quanto Ankara è ancora dipendente dagli approvvigionamenti esteri per il suo consumo interno. Tale scenario prevederebbe però un nuovo approccio degli stati rivieraschi, basato su un rafforzamento della cooperazione economica, ed è condizionato a un profondo cambiamento della politica estera di Ankara.
In questo contesto, l’Unione Europea e quegli Stati membri che godono di buone relazioni con tutti i Paesi della regione, come Italia e Germania, potrebbero svolgere un ruolo di mediazione per convincere gli attori regionali ad avviare una cooperazione quantomeno limitata al settore del gas. Questa scelta strategica sarebbe anche vantaggiosa per le grandi aziende energetiche europee che operano nell’ area. Ci sono anche numerosi strumenti, sotto forma di incentivi o misure di contenimento che l’Ue potrebbe utilizzare per spingere il governo turco a modificare alcuni aspetti della sua politica estera. Ad esempio, la nuova unione doganale o l’ingresso di Ankara nel forum sul gas regionale nei prossimi anni sono sicuramente degli incentivi che potrebbero spingere la Turchia ad un cambio di postura. In alternativa, potrebbero essere adottate nuove sanzioni da parte dell’Unione europea, oltre al mantenimento della missione navale Irini al largo delle coste libiche, fortemente criticata da Ankara.
Una nuova politica europea nella regione non può prescindere dalla questione relativa all’interpretazione delle norme sulla delimitazione delle ZEE e allo sfruttamento energetico delle risorse sottomarine. Per Ankara tutte le aree di mare presenti all’interno di quella che considera essere parte della sua piattaforma continentale, incluse quelle localizzate al di fuori delle acque territoriali di alcune isole greche, fanno parte della sua ZEE. Inoltre, Ankara riconosce la sovranità della Repubblica di Cipro Nord e quindi la sua ZEE, a differenza di tutti gli altri Stati. La Grecia invece, si rifà alla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) per rivendicare l’intera area di mare compresa tra le sue isole e il proprio territorio continentale. In ultima analisi, il contenzioso in corso nel Mediterraneo orientale è di natura principalmente territoriale, e potrebbe perciò essere risolto con la diplomazia. In questo contesto, l’Unione Europea e i suoi stati membri potrebbero farsi promotori di una conferenza regionale per discutere i principali contenziosi.
Un’iniziativa diplomatica europea sarebbe favorita dal crollo del prezzo del gas, dovuto anche all’ingresso dello shale-gas americano nel mercato, e al calo della domanda globale, che rendono le attività estrattive nell’area meno convenienti. Nel 2019, quando ancora la pandemia non era iniziata, il prezzo di vendita europeo si era assestato a 4,80 dollari per milione di unità termali britanniche (MMBtu), che è un valore molto più basso rispetto ai 7,68 dollari per MMBtu dell’anno precedente. Le stime dell’Energy Information Administration (EIA) Usa calcolano che il prezzo medio dovrebbe assestarsi a circa 4 dollari per MMBtu tra il 2020 e il 2035. Tale livello di prezzo rende il gas del Mediterraneo Orientale, spesso localizzato in acque profonde, scarsamente competitivo.
Per comprendere questa problematica, è opportuno riferirsi ai contratti già firmati dalle compagnie che estraggono il gas nella regione. Ad esempio, le due aziende che operano nei giacimenti israeliani di Tamar e Leviathan (Noble Energy e Delek Ltd) si sono accordate con la Compagnia Elettrica Israeliana (IEC) per un prezzo di vendita del gas rispettivamente di 4,20 e 4,79 dollari per MMBtu. Il prezzo è inevitabilmente più alto per i Paesi che non si affacciano su quest’area di mare.
Un accordo siglato dalle compagnie che operano su Leviathan con la Giordania, che si trova a pochi chilometri dall’area di estrazione, fissa il prezzo di vendita a 6 dollari per MMBtu. Tale prezzo salirebbe ulteriormente per quanto riguarda i mercati europei, a causa dei costi di trasporto. Ne consegue che sia necessario per i Paesi che estraggono il gas nel Mediterraneo orientale ripensare al loro modello commerciale, che si basava sulla vendita ai mercati europei ed asiatici, per concentrarsi sui mercati locali.
In questo senso, un miglioramento delle relazioni con i propri vicini diventa un imperativo non soltanto politico, ma anche commerciale.
Matteo Colombo è Pan-European Fellow dello European Council on Foreign Relations (ECFR) di Roma.